Κυριακή 26 Οκτωβρίου 2025

IL CONCETTO DI “CHIESA SORELLA” NEL DISCORSO DI PAPA LEONE XIV: RELAZIONE APOSTOLICA DI UNITA E DIALOGO

 


Ioannis Lótsios, Dottore in Teologia, Post Dottorato

Introduzione

L’incontro annuale della delegazione del Patriarcato Ecumenico con il Papa di Roma, che si svolge tradizionalmente in prossimità della festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, costituisce un punto di riferimento centrale per il dialogo ortodosso-cattolico. Questo primo incontro con Papa Leone XIV nel 2025 è caratterizzato da un’importanza particolare, poiché mette in risalto l’impronta ecclesiologica e la visione ecumenica del neo-eletto Vescovo di Roma[1]. Il riferimento ufficiale del Papa alla Chiesa di Costantinopoli come «Chiesa sorella» rappresenta un punto fondamentale di partenza per la comprensione della base del riconoscimento reciproco e dell’orientamento verso l’unità. Anche il discorso del Metropolita di Calcedonia Emmanuel rivolto a Papa Leone XIV, capo della delegazione patriarcale in occasione della Festa del Trono della Chiesa Romana, costituisce un testo di rilevante significato ecumenico. In esso, l’uso del termine «Chiesa sorella» per indicare la Chiesa di Roma non è casuale, ma porta con sé un profondo significato teologico, storico ed ecumenico. Questo termine esprime una visione teologica specifica del rapporto tra Ortodossia e Cattolicesimo, così come lo sforzo di ridefinizione e di approfondimento del dialogo per l’unità[2].

 

 

Parentela apostolica come fondamento dell’unità

 

Il discorso di Papa Leone XIV inizia con l’appellativo «Fratelli nel Signore», che segna il legame spirituale tra le Chiese. L’ampio riferimento agli apostoli Pietro e Andrea, come pietre fondanti storiche e simboliche delle due tradizioni d’Occidente e d’Oriente, mette in risalto la comunione apostolica come fondamento supremo dell’unità. La memoria e la venerazione comune verso i Santi Apostoli agiscono come elemento di coesione e affinità nell’identità ecclesiologica e nella funzione delle Chiese[3]. Nel suo discorso, Papa Leone XIV sottolinea: «Sono particolarmente lieto di accogliere, per la prima volta dopo la mia elezione a Vescovo di Roma e successore dell’Apostolo Pietro, la vostra Delegazione che rappresenta la Chiesa sorella di Costantinopoli, in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo, patroni della Chiesa di Roma. Questo scambio tradizionale di delegazioni tra le due Chiese, durante le rispettive feste dei Santi Patroni, costituisce un segno della profonda comunione che già esiste tra di noi, così come un riflesso del vincolo di fraternità che unisce gli Apostoli Pietro e Andrea». La ricerca della piena comunione visibile è centrale nell’ecclesiologia ortodossa e cattolica. Il concetto di comunione visibile ha un’importanza teologica, poiché la Chiesa non è intesa solo come comunità spirituale, ma anche come realtà visibile e sociale che testimonia l’unità nel corpo di Cristo. L’espressione continua ascolto rispettoso e dialogo fraterno sottolinea la necessità dell’ascolto reciproco, del discernimento e di uno spirito di carità, caratteristiche che costituiscono i pilastri di ogni autentico dialogo.

 

 

 

L’Uso del Termine «Chiesa Sorella»

 

L’espressione «Chiesa sorella»[4] è stata introdotta e consolidata nel contesto del dialogo ecumenico a partire dalla metà del XX secolo, in particolare dopo lo storico incontro tra Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora nel 1964, che segnò la revoca delle scomuniche del 1054 e aprì una nuova epoca nelle relazioni tra Roma e Costantinopoli[5]. Questa espressione riflette il reciproco riconoscimento della pienezza della Chiesa dell’altra parte, abbattendo ogni teoria di monopolio ecclesiale della verità o di esclusività. Le «Chiese sorelle» implicano uguaglianza, rispetto reciproco e riconoscimento dell’autonomia storica e teologica, nel contesto dell’unità nella diversità[6]. L’uso del termine da parte di Papa Leone XIV non costituisce un semplice gesto diplomatico, ma esprime la fondamentale convinzione ecclesiologica dell’esistenza di una continuità apostolica ed eucaristica nella Chiesa di Costantinopoli. Inoltre, indica il desiderio di ristabilire la piena comunione, non come omologazione, ma come rinascita di una comune esperienza apostolica. Il discorso fa esplicito riferimento all’incontro del 1964 e agli sforzi dei predecessori di Papa Leone XIV, i quali hanno sviluppato una visione permanente di riconciliazione e unità, con rispetto della memoria storica e della tradizione ortodossa. responsabilità comune di superare i muri divisori e promuovere un’unità che non venga imposta dall’alto, ma che si fondi sull’accettazione reciproca e sul dialogo[7]. L’uso ecclesiologico del termine «Chiesa sorella» da parte del Metropolita di Calcedonia riflette il principio dell’uguaglianza e della reciprocità tra le Chiese, senza implicare alcuna superiorità gerarchica o sottomissione. Si fonda sulla fede comune in Cristo e sull’accettazione condivisa dell’economia e della missione della Chiesa come Corpo di Cristo. L’espressione «Chiesa sorella» ha le sue radici nella tradizione patristica, dove le Chiese locali sono designate come «sorelle» tra loro, riflettendo la coesione del corpo ecclesiale[8]. La scelta del termine da parte del Metropolita Emmanuel per descrivere la Chiesa di Roma esprime una concezione fondamentale secondo cui le due Chiese, malgrado le differenze e le divisioni storiche, condividono una comune eredità, fondata sulla successione apostolica e sulla fede nei medesimi dogmi fondamentali. Questa concezione dimostra anche il desiderio di riunificazione e collaborazione in uno spirito di pace, poiché la fraternità presuppone dialogo e rispetto reciproco. L’uso del termine funge da ponte di fiducia e speranza, che oltrepassa i confini delle divergenze teologiche e pone come obiettivo primario il raggiungimento dell’«unità nella fede»[9]. Essa si inserisce nel più ampio contesto degli sforzi ecumenici successivi al 1964, con la revoca delle scomuniche del 1054 come punto di svolta storico, che ha posto le basi per un dialogo teologico aperto e sincero. Il Metropolita sottolinea che la «Chiesa sorella» non rappresenta una relazione gerarchica assoluta, ma fa parte di uno sforzo continuo di comprensione e riconciliazione, promosso tramite commissioni ufficiali e documenti congiunti. La fraternità delle Chiese funge da fondamento per affrontare questioni come la primazia e la sinodalità, così come le differenze dogmatiche riguardanti il Filioque. L’uso del termine rivela la prospettiva positiva della Chiesa di Costantinopoli nell’incontrare la Chiesa di Roma; esprime una relazione di parità, solidarietà e comunione spirituale, che costituisce la base del percorso di dialogo, riconciliazione e cooperazione, nella ricerca di superare le divergenze storiche e raggiungere la piena comunione nella fede. Il discorso rappresenta una tappa significativa che, con sapienza teologica e sensibilità, cerca di ravvivare lo spirito del dialogo ecumenico, ponendo al centro l’unità e la pace come frutto della fraternità tra le Chiese locali, nella prospettiva di una celebrazione comune della fede e di un cammino condiviso verso il futuro.

 

Il Paragrafo 23 della Lumen Gentium

 

Il fulcro del discorso si concentra sull’unità piena e visibile. Questa formulazione non è casuale, ma costituisce un termine fondamentale nella teologia della Chiesa cattolica romana riguardo all’unità dei cristiani. La communio plena, che concerne la comunione nella fede e nei sacramenti, secondo l’ecclesiologia cattolica romana, non si realizza pienamente al di fuori della sottomissione al Vescovo di Roma. Tuttavia, l’approccio di Leone XIV è equilibrato e sintetico. Egli non chiede sottomissione, ma sottolinea la necessità di un cammino comune «nello Spirito», «attraverso il dialogo fraterno» e soprattutto «nel contesto della sinodalità». Questa prospettiva è familiare e fondamentale all’ecclesiologia ortodossa, e la sua riproposizione da parte del Papa segna una riformulazione selettiva del primato papale in direzione di una comprensione diaconale, e non autoritaria. Il Papa fa esplicito riferimento al paragrafo 23 della Lumen Gentium, la Costituzione Dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II, sottolineando che il Vescovo di Roma non agisce isolatamente, ma «in comunione con tutti i Vescovi». Il paragrafo 23 della Lumen Gentium costituisce un punto centrale per comprendere la relazione tra le Chiese locali e la Chiesa cattolica romana nel suo insieme. Questo articolo sottolinea che, pur essendo ogni Chiesa locale piena nella sua essenza, essa non è isolata, bensì costituisce parte dell’intero Corpo della Chiesa, che è cattolico e sinodale[10]. Nel contesto del recente processo sinodale, si osserva una forte rilettura del paragrafo 23 in relazione all’articolo 12, il quale fa riferimento al sensus fidei dei fedeli. Questo collegamento approfondisce la consapevolezza che lo Spirito Santo non parla soltanto attraverso la gerarchia, ma anche attraverso il popolo di Dio, rendendo le Chiese locali spazi di partecipazione attiva, di ascolto e di corresponsabilità nella formazione della fede. Il concetto di “restitutio”, che significa “restaurazione”, “ritorno” o anche “ripristino”, viene introdotto nell’attuale contesto ecclesiologico per indicare un orientamento verso la tradizione autentica, in cui la Chiesa opera in modo sinodale e organico, e non secondo un modello centralizzato. Lo scopo della restitutio è la riemersione di un autentico sensus totius populi Dei, cioè del “Popolo di Dio”, come criterio di verità e di vita della Chiesa. Questa osservazione è particolarmente significativa per la Chiesa Ortodossa, che ha ripetutamente sottolineato che la visione cattolica romana del primato è incompatibile con la sinodalità del primo millennio. Il riconoscimento esplicito della sinodalità come fondamento del primato fornisce una nuova base per il dialogo teologico. Poiché, come ha mostrato anche il Documento di Ravenna (2007), vi è consenso sul fatto che il primato esistesse nella Chiesa del primo millennio, la questione rimane nell’interpretazione e nell’esercizio di tale primato. Il Sinodo sulla Sinodalità (2021–2024) ha riportato al centro l’esigenza della partecipazione istituzionale e spirituale di tutti i membri della Chiesa nei processi di discernimento. Papa Francesco parla di una Chiesa che cammina insieme (una Chiesa sinodale)[11], fondata sulla relazione tra le Chiese locali e l’unità cattolica. In questa luce, l’articolo 23 non costituisce semplicemente una descrizione del ruolo dei vescovi, ma un modello di relazione sinodale tra: le Chiese locali e Roma, i vescovi e i fedeli, l’istituzione e lo Spirito[12]. Si delinea così una dinamica sinodale, in cui lo Spirito Santo parla attraverso le esperienze locali, i popoli e la storicità della Chiesa[13]. Leone XIV appare disposto a riconsiderare questa interpretazione facendo riferimento alla Tradizione.

 

Conclusione

L’uso dell’espressione “Chiesa sorella” da parte di Papa Leone XIV rivela un’intenzione ecclesiologica ed ecumenica sostanziale, che va oltre un semplice gesto di buona volontà. Essa chiarisce che l’unità delle Chiese presuppone un riconoscimento reciproco, il rispetto della tradizione e la coerenza apostolica. Questo approccio può costituire un fondamento per la continuazione del dialogo, con l’orizzonte di una piena comunione, che rappresenti una rinascita dell’antica fraternità apostolica e di una testimonianza comune nel mondo.

 



[1] Discorso, cfr. https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/speeches/2025/june/documents/20250628-patriarcato-ecumenico.html

[2] Discorso, cfr. https://ec-patr.org/address-by-his-eminence-elder-metropolitan-emmanuel-of-chalcedon-to-his-holiness-pope-leo-xiv-on-the-occasion-of-the-thronal-feast-of-the-church-of-rome/.

[3] Per il fondamento apostolico dell'unità ecclesiastica e il riferimento simbolico agli apostoli Pietro e Andrea, cfr. John Meyendorff, Byzantine Theology: Historical Trends and Doctrinal Themes (New York: Fordham University Press, 1974), pp. 112-115.

[4] Will T. Cohen, The Concept of “Sister Churches” in Catholic-Orthodox Relations Since Vatican II (Münster: Aschendorff, 2016).

[5] Per il significato storico dell'incontro tra Paolo VI e Atenagora e l'introduzione del termine "Chiesa sorella", vedi John W. O'Malley, What Happened at Vatican II (Cambridge, MA: Harvard University Press, 2008), pp. 234-236. John Chryssavgis, ΄΄ Pilgrimage Toward Unity: Ecumenical Patriarch Athenagoras and Pope Paul VI in Jerusalem (1964) Based on Correspondence and Archives’’, in https://apostolicpilgrimage.org/historicmeeting.html.

[6] Per l’interpretazione ecclesiologica della “Chiesa sorella” nel contesto del dialogo ecumenico, vedere Thomas F. Michel, “The Orthodox-Catholic Dialogue: Toward a Common Vision of the Church’’, in Theological Studies 70, 4 (2009), pp. 771-793.

[7] Per l'interpretazione ecclesiologica della “Chiesa sorella” nel contesto del dialogo ecumenico, vedere Thomas F. Michel, “The Byzantine-Catholic Dialogue: Toward a Common Vision of the Church”, in Theological Studies 70, 4 (2009), pp. 771-793.

[8] cfr. Colasseo 1.18.

[9] cfr. Efesini 4,13.

[10] R.Luciani,  ‘’The Heart of the Current Reception of the Ecclesiology of the People of God,  "New paths in the theology and practice of sensus fidei", in Warszawskie Studia Teologiczne36(2023), pp.28–51.

[13]  Instrumentum Laboris, §3.2.

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